L’efficienza della pubblica Amministrazione non si può certo testare dal numero delle leggi di riforma che ogni Governo di turno ha sottoposto all’approvazione del legislatore, non tanto per modernizzare la burocrazia, ma solo per piantare una bandierina di una o dell’altra parte politica; in tempi remoti e recenti non c’è stato un Governo che non abbia voluto riformare la P. A.!...
Invece, l’efficienza della P.A. si misura su quante delle numerose normative in materia abbiano trovato effettiva attuazione, comportando significativi benefici al cittadino.
Una verifica attendibile di tale effettiva attuazione si può effettuare attraverso la lettura delle sentenze del giudice amministrativo, dalle quali, troppo spesso, ci si rende conto di come il cittadino non sia considerato come tale, ma, ancora, come
suddito.
E’ il caso del Sig. X che si è visto costretto a ricorrere al TAR per la definizione dell’istanza di rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale, dormiente in Prefettura da ben due anni.
Il TAR per il Veneto, con sentenza n. 1304 del 2024, ha accolto il ricorso per
illegittimità del silenzio inadempimento, rilevando come, da parte della Prefettura, vi sia stata la violazione dell’art. 2 della L. n. 241/1990, con il quale si stabilisce che la P.A. ha il dovere di concludere un procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso, dovendo rispettare, nel contempo, i termini per la trattazione delle varie pratiche, nella specie quello biblico di 120 giorni, come stabilito dalla tabella allegata al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21 marzo 2013, n. 58.
Per il TAR tale illegittimità riscontrata nell’attività della Prefettura sussiste, anche se quest’ultima si sia attivata, solo dopo quasi un anno, inviando all’interessato il preavviso di rigetto dell’istanza, per motivi ostativi al rilascio del porto d’armi, ai sensi dell’art. 10 bis, della L. 241/1990.
Quindi, il giudice amministrativo ha ordinato alla Prefettura di provvedere e di
concludere il procedimento con un provvedimento espresso, di qualsiasi contenuto peraltro ritenga sulla base delle sue valutazioni discrezionali, entra il termine perentorio di 30 giorni. In pratica, il Prefetto, entro 30 giorni, dovrà decidere se rilasciare la licenza di porto o respingere l’istanza.
Inoltre, lo stesso TAR ha condannato la Prefettura e il Ministero al pagamento al ricorrente delle spese di giudizio, per una somma di mille euro.
Abituati, oramai, alla solita formula delle
spese compensate, fa piacere constatare che, ogni tanto, la P.A. viene condannata alle
spese e competenze di giudizio, anche se, purtroppo, tale somma non potrà assolutamente compensare l’onorario dovuto all’avvocato; non solo, ma il risarcimento sarà a carico dello stesso Sig. X. Infatti, la somma di mille euro non verrà detratta dallo stipendio del funzionario inadempiente, ma sarà a carico del contribuente con le relative tasse.
Eppure, con le numerose modifiche/integrazioni apportate nel corso degli anni alla legge n 241/90 ( ad oggi ben 45 modifiche, tra le quali le più significative sono quelle del Ministro Brunetta con la L. n. 69/2009 e quella del Governo Monti con il D.L. n. 5/2012) è stato previsto che
la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce anche
responsabilità amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente (art. 2, c. 9, L. n. 241/90), e che
l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo (art. 2 bis, c. 1 bis, L. n. 241/90), perché
le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (art. 2 bis, L. n. 241/90).
Purtroppo, tali lodevoli disposizioni non vengono applicate d’ufficio, ma possono trovare la loro pratica applicazione solo attraverso l’iniziativa legale del danneggiato. Per cui, in pratica, se il Sig. X volesse essere risarcito, dovrebbe nuovamente rivolgersi al giudice amministrativo, instaurando un ulteriore contenzioso per danno da ritardo (art. 30 Codice amm.vo), con l’onere di provare di aver subito un danno ingiusto e, nel contempo, dimostrare che la Prefettura ha tenuto un comportamento gravemente negligente.
E’ da evidenziare che, in materia dei termini per la trattazione delle pratiche, nonostante le buone intenzioni del legislatore, si è dovuta registrare, sin dall’inizio di tale novità, una costante resistenza della P.A..
Infatti, già quando, per la prima volta, fu stabilito il termine di 30 giorni per la conclusione delle pratiche, con l’art 16 della L. n. 86/1990, che modificava l’art. 328 del C.P. (
Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione), il Ministro della Funzione pubblica si affrettò ad emanare una circolare (n. 5824 del 4 dicembre 1990), con la quale, tra l’altro, si elencavano
i motivi che possono giustificare il difetto di adozione dell’atto nel termine di trenta giorni, come l’elevato numero di pratiche da evadere, giustificazioni ribadite dal Ministero dell’Interno con circolare del 2 gennaio 1991.
Anche dopo la L. n. 241/90, con la quale si volle dare una svolta significativa al rapporto tra Amministrazione pubblica e cittadino, non si tardò ad emanare circolari che giustificavano l’inosservanza dei termini, individuati dai Ministeri per la trattazione delle relative pratiche. Sintomatica la circolare del Ministero dell’Interno del maggio 2018, relativa all’applicazione della L. 241 ai procedimenti per il rilascio delle licenze di polizia, con la quale si evidenziava che
i termini individuati hanno natura ordinatoria, nel senso che il loro inutile decorso non consuma il potere-dovere dell’Amministrazione di procedere, né da luogo a forme di silenzio significativo. In pratica, come oramai è consuetudine, se gli addetti ai lavori della P.A. non provvedono nei termini stabiliti, compresi i Ministri per l’emanazione di regolamenti delegati per l’applicazione di leggi, non succede niente, perché i termini non sono considerati
perentori, ma
ordinatori. Non si riesce a comprendereperché tale qualificazione sia una prerogativa costante della P.A. e mai del cittadino, che, se non rispetta i termini, ne paga tutte le conseguenze. Una giustificazione di tale privilegio si potrebbe trovare nella famosa frase del film il Marchese Del Grillo, quando quest’ultimo, rivolto ai popolani, esclama:
Io so’ io e voi non siete…..!
A onor del vero bisogna ricordare che il Ministero dell’Interno, con circolare del 9 settembre 1993, ebbe a precisare che, in relazione ai termini della L n. 241,
è da scongiurare che gli uffici siano portati a far coincidere, anche quando riescano a provvedere più celermente, i tempi occorrenti per concludere un procedimento, con i termini finali introdotti, essendo di tutta evidenza che tale risultato contraddirebbe i principi ispiratori della legge 241.
Peccato che tale lodevole iniziativa abbia avuto l’effetto di una voce che grida nel deserto!....
Concludendo, se, come previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 41), ogni individuo ha diritto ad una buona amministrazione e che le sue pratiche siano trattate
entro un termine ragionevole, non si riesce a comprendere perché si debba ricorrere al giudice per far riconoscere un diritto che la stessa P.A. dovrebbe salvaguardare e rispettare.
Norberto Bobbio osservava che
i sudditi diventano cittadini quando vengono loro riconosciuti i diritti fondamentali.
Quando si potrà realizzare tale mutazione? Con il prossimo Governo?.... Con quello dopo?.... Con quello dopo ancora?......
L’uomo della strada attende sempre fiducioso.
Firenze 9 novembre 2024 ANGELO VICARI
Aggiunta di Mori:
IL TAR continua ad essere restio a condannare la PA al pagamento delle spese legali e, quando le liquida, lo fa in importi ridicoli.
Un ricorso al TAR costa 4.000-6.000 euro e il cittadino ha diritto al pieno rimborso di ciò che ha pagato a norma della tariffa per gli avvocati. Liquidare mille euro vuol dire prendere per i fondelli il cittadino ed essere complici di sciagurati funzionari e mettere la tariffa degli avvocati al livello della tariffa delle marchette. E il cittadino capisce che, se tanto gli dà tanto, corre il rischio di vedersi dar torto, pur di evitare una condanna della P.A.. Ma sono dei giudici chiamati a difendere il cittadino o i reggicoda di chi non sa gestire gli uffici pubblici? Di questo passo diventeranno i sottocoda!